«Un genere di natura morta portato quasi al parossismo di oggettività è quello chiamato generalmente “trompe-l’œil”, reso felicemente in italiano dall’Ojetti con il termine “inganno”.»
Gregorio Sciltian, Trattato sulla pittura
La pittura è per Gregorio Sciltian strumento di contemplazione e sublimazione della natura: solo attraverso la pratica e la tecnica è possibile conseguire «l’illusione della realtà» quale fine supremo che alimenta l’enigma e il mistero dell’arte. Il trompe-l’œil, a cui è dedicata questa sezione, rappresenta probabilmente l’espressione più emblematica dell’arte di Sciltian che in questi lavori si esprime attraverso un approccio mimetico e una tecnica pittorica “arcifinita” e lenticolare. Lo sguardo è rivolto al di fuori di sé ed è circoscritto a uno spazio meditativo e raccolto, determinato dalla volontà dell’artista in calibrati equilibri compositivi. Nel suo studio allestisce, dal vero, piccoli teatrini che poi va pazientemente a trasferire sulla tela, restituendone le strutture plastiche e le caratteristiche tattili. Il senso dell’assenza e della sospensione che domina queste scene è la conseguenza di un implacabile realismo e di una «veracità palmare» che richiama alla memoria la grande tradizione pittorica seicentesca che ha in Caravaggio e Velázquez, con i suoi bodegones giovanili, i suoi riferimenti più evidenti.
I suoi “Inganni” si conformano ad alcune tipologie ben identificabili: il tavolo o la libreria traboccanti di libri e fogli, dove fanno capolino oggetti da scrittura, lenti e occhiali, oppure il pannello verticale sul quale sono appuntati oggetti di vario tipo e le amate cartoline che riproducono capolavori dell’arte. L’atmosfera rarefatta e magica che regna in queste creazioni richiama quella dei rebus, proprio per la loro natura enigmatica: la loro decifrazione permette di comprenderne il significato nascosto e talvolta riconoscerne il committente.
Roberto Longhi, a cui è dedicato il Tavolo del critico d’arte del 1940, è il primo a occuparsi di Gregorio Sciltian già nel 1925, in occasione del suo esordio romano con la mostra alla casa d’arte Bragaglia. In quel periodo il grande studioso presenta il pittore al mercante e collezionista Alessandro Contini Bonacossi, di cui è consigliere, che gli commissiona due nature morte. Le opere saranno collocate, in occasione d’un ricevimento, proprio accanto alla celebre Natura morta con cesto di arance, piatto di cedri e tazza con rosa di Francisco de Zurbarán. Le due nature morte del 1925 e 1926, commissionate da Contini Bonacossi, aprono questa sezione accanto alla Natura morta alimentare. Pane e vino, realizzata per un francobollo emesso delle Poste italiane nel 1981. Oltre mezzo secolo separa questi dipinti; i soggetti rimangono i medesimi, ma in quell’impercettibile scarto stilistico si sviluppa tutta la poetica dell’artista.