Negli archivi del Vittoriale sono conservati alcuni lavori angolari della produzione di Gregorio Sciltian. Si tratta di opere che l'artista conservò negli atelier e nelle tante dimore che accolsero le sue peregrinazioni in Europa e nelle località e città italiane in cui soggiornò ed ebbe modo di vivere. L'artista giunse a Roma negli anni Venti, vibrante testimonianza di questo primo e spensierato periodo è l'Autoritratto con la famiglia Bianchi del 1925. Novello sposo, Sciltian con la moglie Elena "Lilly" Boberman trovano alloggio in palazzo Roccagiovane in piazza Farnese presso una famiglia di fornai, i Bianchi, di cui due membri, la mamma e la figlia Agnese, sono rappresentati nel grande dipinto insieme al pittore. Sono straordinarie testimonianze di questa prima fase creativa, nella quale è ancora evidente l'influenza della Neue Sachlichkeit, tendenza con la quale l'artista ebbe modo di confrontarsi durante il precedente periodo berlinese, il Ritratto del pittore futurista Ivo Pannaggi e L'uomo che si pettina sempre del 1925. Da queste opere si evince come la pittura di Sciltian di quel periodo può essere letta come un ponte tra i toni drammatici e caricaturali della Neue Sachlichkeit, e le visioni attonite e stranianti del Realismo magico, che proprio in quegli anni si stava affermando in Italia grazie soprattutto all'originale apporto di Cagnaccio di San Pietro e di Antonio Donghi. Proprio con quest'ultimo, Sciltian ebbe rapporti cordiali di amicizia bruscamente interrotti per via di invidie e gelosie tra artisti. Nelle sue memorie racconta di come la notizia della presentazione di Roberto Longhi alla sua prima personale presso la Galleria Bragaglia fu accolta con scalpore nell'ambiente romano, visto che erano in tanti, tra cui lo stesso Donghi, a sperare inutilmente nel sostegno e in un testo del grande critico piemontese, allora assiduamente impegnato negli studi sulla pittura rinascimentale e barocca.

Poco sappiamo della produzione pittorica dei complessi anni parigini tra il 1927 e il 1932; il Ritratto della cantante Maria Spiridovic del 1930 ben documenta le difficoltà di Sciltian nell' orientarsi tra gli eccessi e le indolenze della Ville Lumière. Il pittore per tutta la vita condannò la decadenza etica e stilistica dell'École de Paris, aspetti che metteva in stretta correlazione. Il soggiorno parigino ebbe l'effetto di far perdere plasticità alla energica pennellata di Sciltian, come è facilmente riscontrabile in questo ritratto.

Rientrato in Italia nel 1933, Sciltian recupererà il suo vigore pittorico trovando piena sintonia nella tradizione artistica lombarda e ottenendo fin da subito un'ottima accoglienza nel mercato locale. Si stabilisce a Milano riscontrando i primi successi in un collezionismo sempre più altolocato e di prestigio. La sua fama cresce con il ritratto del conte Luigi Grazzano Visconti del 1941, da quel momento diverrà ambito ritrattista della grande aristocrazia milanese.

Emblematico di questa fase il ritratto di Galeazzo Ciano del 1943, opera incominciata a Roma nei giorni in cui il suo atelier milanese, in via della Spiga, venne distrutto nei bombardamenti dell'ottobre del 1942. Divenuto collezionista dell'opera di Sciltian a partire dalla Biennale del 1942, l'allora ministro degli esteri si prestò ai rigorosi tempi di posa programmati all'interno del suo ufficio a Palazzo Chigi. Nell'impenetrabilità enigmatica e assorta dello sguardo del "generissimo", sembrano affiorare i presagi della sua tragica fine. Il dipinto in quegli anni tumultuosi non fu mai consegnato al committente, rimase in casa dell'artista nascosto dietro un armadio, lontano da occhi indiscreti e mostrato solo a pochissimi e fidati amici.

Del periodo post-bellico la colleziona conserva il Ritratto di Eleonora Rossi Drago del 1954, opera incompiuta che vede protagonista una delle attrici più apprezzate del cinema di quegli anni impegnata con registi del calibro di Antonioni, Comencini, Germi e Rossellini. Sempre degli anni Cinquanta il "doppio" autoritratto in cui l'effige dell'artista compare anche sul verso della tela ma in maniera più abbozzata.

Degli anni Sessanta sono invece: L'inverno (1966) chiaro omaggio alla pittura pauperistica del Pitocchetto, sublime pittore della realtà di cui Sciltian scoprì e acquistò due tele anch'esse di proprietà del Vittoriale, il sontuoso ritratto della moglie Elena Boberman (1966) in posa regale da autentica zarina e la già citata Eterna Illusione (1967-68), capolavoro della maturità dell'artista.

Sciltian dipinse instancabilmente fino alla fine della sua esistenza, di questa produzione in collezione compaiono: l'apocalittica rappresentazione di Mors Atomica del 1978, nel quale l'artista ribadisce tutta la sua avversione verso L'École de Paris mostrando lo skyline in fiamme della capitale francese, il grande trompe l'oeil con Il mattino del 1979, nel quale compare appuntata una cartolina con la riproduzione della Ragazza con l'orecchino di perla, celebre capolavoro di J. Vermeer e Il ciabattino del 1981, punto di contatto con un'altra opera antica della sua raccolta e da lui attribuita ad Antonio Cifrondi, acquistata con astuzia dal suo sarto in cambio della confezione di due vestiti su misura. Completa la raccolta l'ultimo autoritratto dell'artista realizzato due anni prima della scomparsa. Nonostante la pittura si faccia affaticata nel tratto e stanca nella stesura del colore, Sciltian ci lascia un'immagine struggente di sé rappresentandosi anche riflesso, e dai tratti ringiovaniti, nella deformazione ottica dello specchio convesso alle sue spalle, simbolo che ricorre in tutta la sua produzione artistica così come nelle opere dei sublimi maestri del passato che sono stati per lui fonte di continua ispirazione e motivo di devota ammirazione per tutta la vita.